domenica 13 maggio 2012

Storia della grappa


Morbida, secca..., di moscato, di prosecco..., hmmm..., buonissima!


La grappa, in quanto acquavite, è stata concepita nell’ambito degli studi della Scuola Salernitana che, intorno all’anno Mille, codificò le regole della concentrazione dell’alcol attraverso la distillazione e ne prescrisse l’impiego per svariate patologie umane garantendo ai distillati un imperituro successo. Le vinacce, materia prima alcoligena povera (rispetto al vino, tanto per fare un esempio, contengono i due terzi di alcol in meno), ma molto diffusa, furono immediatamente prese in considerazione e, della loro acquavite, si parla già nel 1400. Le prime testimonianze dello studio sulla distillazione delle vinacce risalgono però al 1600 e sono dovute ai Gesuiti, tra i quali va ricordato il bresciano Francesco Terzi Lana. Fino agli inizi del XIX secolo non vi è però una distinzione tecnologica netta tra i distillati alcolici, poi l’Italia della grappa scelse una propria strada che portò alla creazione di una bevanda con caratteristiche uniche e irripetibili.

La vinaccia

Le vinacce sono le bucce degli acini d’uva una volta separate dal mosto o dal vino. Attualmente meno di un terzo della vinaccia viene utilizzata per la produzione di grappa, dalla restante parte si ricava alcol etilico. Questo fatto ha una notevole incidenza sulla qualità finale dell’acquavite in quanto solo la vinaccia migliore, quella ritenuta più vocata a seguito di un’attenta selezione, origina grappa.

Gli alambicchi

Gli alambicchi della grappa si distinguono in due grandi categorie: continui e discontinui. I primi lavorano senza soluzione di continuità: alimentati con vinaccia restituiscono una flemma alcolica che viene successivamente elevata al rango di acquavite attraverso una seconda distillazione. I secondi lavorano invece a cotte: si carica in caldaia (o cucurbita) il materiale da distillare, si riscalda, si procede all’esaurimento dell’alcol e delle sostanze aromatiche che contiene, facendo grande attenzione a prelevare solo il cuore, e infine, si scarica la caldaia.
Gli alambicchi discontinui si classificano in tre categorie, le vediamo di seguito.
Fuoco diretto
La cucurbita è posta direttamente su una fornace (in genere a legna, a vinaccia esausta o a gas) con la logica conseguenza di rischi di odori di cotto o di fumo nell’acquavite. Dal panorama della grappa sono quasi scomparsi.
Bagnomaria
Sono, alla pari di quelli a fuoco diretto, gli alambicchi più antichi. La cucurbita ha però un’intercapedine dove viene immessa acqua o vapore e, quindi, anche nei casi in cui siano posti su una fornace, la distillazione avviene con estrema dolcezza. Decisamente onerosi nella costruzione e nel funzionamento, hanno una netta predilezione per la qualità. Attualmente costituiscono un terzo degli impianti in attività, ma la grappa con essi prodotta non supera il 3%.
Vapore
Sono costituiti da una serie di caldaiette di piccole dimensioni in cui la vinaccia è disposta in cestelli forati. In esse viene immesso vapore prodotto da una centrale indipendente. Nel mondo della grappa sono un classico e, con oltre 50 impianti funzionanti, sono i più rappresentati. 

Il mastro distillatore

Il mastro distillatore è elemento fondamentale per determinare il profilo organolettico della grappa, è il vero autore dell’acquavite, è molto più importante del vitigno o dell’ecosistema in cui è maturata l’uva. In Italia questa figura è sempre stata troppo poco valorizzata rispetto alla sua importanza: basti pensare che risulta, quasi sempre, più difficile riconoscere all’assaggio il vitigno dal quale deriva una grappa rispetto alla mano che l’ha prodotta. La normativa vigente consente quindi di citare in etichetta sia il mastro distillatore che l’alambicco con il quale forma un binomio fondamentale per la caratterizzazione della grappa.

Il profilo sensoriale della grappa

Il profilo visivo
La grappa deriva dalla distillazione, ossia da quell’operazione fisica che, da sempre, è sinonimo di purificazione. Sgorga quindi dall’alambicco più cristallina dell’acqua di rocca e solo errori e negligenze dell’uomo ne potranno turbare lo stato di perfetta trasparenza. Produrre grappa limpida non è dunque gran merito mentre mettere in commercio un’acquavite in precario stato di trasparenza è indice di incompetenza o, quantomeno, di incuria.Le grappe giovani sono tassativamente sempre incolori. Quelle invecchiate, intendendo con questo termine il soggiorno più o meno lungo in botti di legno non impermeabilizzate, hanno una tonalità di colore che varia dal paglierino appena percettibile, all’ambrato carico.

Il profilo olfattivo
Puzze e profumi costituiscono il dritto e il rovescio dell’aroma della grappa, elemento primario fondamentale per la valutazione della qualità. La qualità comincia dall’assenza di difetti e cresce col moltiplicarsi delle sostanze di pregio. Per poter apprezzare pienamente una grappa occorre quindi saper riconoscere senza indugio i difetti e poi via via, le sensazioni di buona qualità fino all’identificazione di quei caratteri che solo un mastro distillatore, utilizzando una materia prima meravigliosa, sa ottenere. Tra i possibili profumi percepibili nella grappa ricordiamo: erba (entro certi limiti), mela, banana, fragola, frutta esotica, nocciola, giacinto, pesca, lampone, mughetto, moscato, rosa.Tra le puzze: muffa, aceto, uova marce, fumo e bruciato, caprone, crauti, cera, sego, sudore, rancido, pungente (in realtà una sensazione tattile).

Il profilo gustativo
I sapori nella grappa sono ridotti a due, il dolce e l’amaro, essendo il salato praticamente assente e l’acido non percepito come tale ma mascherato nell’aggressività alcolica con la quale opera in sinergia. La maggiore espressione di qualità di una grappa sotto il profilo gustativo è data dalla sua discrezione, fondamentalmente dal suo “non essere”: il vertice è rappresentato da una grappa che invade il cavo orale senza violenza alcuna e si esprime in una piacevole sensazione di calore per poi finire incorporea in successive nuvole d’aroma.

Come si serve

La grappa va servita non troppo fredda, ma soprattutto non troppo calda: tra i 9 e i 13°C si colloca la temperatura ideale per le grappe giovani e giovani aromatiche, intorno ai 17°C quelle invecchiate (salvo rare eccezioni). Nel dubbio è sempre meglio, per quanto riguarda la temperatura, sbagliare per difetto: una grappa servita un po’ troppo fresca consente sempre di riscaldarla nel palmo della mano per cogliere l’evolversi del prestante aroma, ma il contrario non è possibile.
Il tulipano di medie dimensioni (100-150 millilitri), panciuto e non troppo stretto alla bocca, rigorosamente di cristallo o di vetro sonoro. Sono da evitare i ballon e i bicchieri a palloncino sormontati da un camino stretto.

È vero che la grappa è il distillato in commercio con la maggior gradazione alcolica?


È falso, è un’immagine creata intorno alla grappa dalla disinformazione di alcuni autori. La ricchezza alcolica minima alla quale si può trovare in commercio  è di 37,5% vol. che corrisponde alla medesima percentuale di alcol etilico ed è pari a molte altre acqueviti. Per le grappe che hanno diritto alla denominazione geografica (Piemonte, Lombardia, Trentino, Alto Adige, Veneto e Friuli) il limite minimo della gradazione alcolica è di 40% vol.

La grappa è un distillato prezioso?

Lo è certamente per le sue qualità intrinseche. Ma se la  preziosità di un bene è inversamente proporzionale alla quantità esitata sul mercato, lo è a maggior ragione: di ogni mille bottiglie di superlacolici consumate una sola – o poco più – è di grappa. Inoltre la sua quantità è limitata in quanto si può ottenere solo dalle vinacce italiane. E, pur pensando di destinarle tutte a fare grappa, la produzione della nostra acquavite di bandiera sarà sempre molto inferiore ad altre grandi acqueviti a denominazione geografica dell’Unione Europea (nei confronti di alcune meno del 10%).
 

 Si può produrre grappa in quantità illimitate?


No, la sua produzione e strettamente legata alla nostra produzione italiana di uve che, com’è a tutti noto, è in notevole calo. Attualmente però meno di un terzo della vinaccia viene utilizzata per la produzione di grappa, dalla restante parte si ricava alcol etilico. Questo fatto ha una notevole incidenza sulla qualità finale dell’acquavite in quanto solo la vinaccia migliore, quella ritenuta più vocata a seguito di un’attenta selezione, origina grappa. 

Quanta grappa si produce attualmente?


Secondo le statitistiche dell’amministrazione finanziaria dello Stato – che sulla grappa impone un’accisa elevata e quindi è sempre molto attenta al controllo del prodotto – negli ultimi anni la produzione di grappa oscilla intorno ai 40 milioni di bottiglie equivalenti (da 0,7 litri al 40% volume di alcol).

Cos’è la grappa a denominazione geografica?


Possono fregiarsi della denominazione geografica le grappe citate nell’allegato II del regolamento dell’Unione Europea 1576/89 purché ottenute da materie prime  ricavate da uve prodotte e vinificate nelle aree geografiche cui fa riferimento l’indicazione e distillate nel medesimo ambito. La loro ricchezza alcolica non può essere inferiore al 40% e non possono essere miscelate con grappe provenienti da altre zone. Attualmente si hanno le seguenti denominazioni:
  • grappa di Barolo;
  • grappa piemontese o del Piemonte;
  • grappa lombarda o della Lombardia;
  • grappa trentina o del Trentino;
  • grappa dell’Alto Adige o Südtiroler Grappa;
  • grappa veneta o del Veneto;
  • grappa friulana o del Friuli.
 

Cos’è la grappa di vitigno o varietale?

Da tempo immemorabile partite di vinaccia ricavate da vitigni particolari che hanno la possibilità genetica di trasmettere un carattere organolettico alla grappa – caso eclatante il Moscato che probabilmente fu il primo a indicare una grappa di vitigno – sono distillate in purezza, senza miscelarle con altre. Per identificare questa categoria è stato coniato il termine grappa di vitigno divenuto ben presto di moda e, in alcuni casi, utilizzato per trasferire sull’acquavite il blasone conquistato sul campo da vini omonimi, rari e preziosi.Per questo motivo e per la difficoltà di riconoscimento – tanto per l’analisi chimica quanto per quella organolettica – i tecnici hanno sempre messo in guardia verso l’eccessiva enfasi di questo elemento. La legge consente di indicare il vitigno in etichetta se le materie prime provengono almeno per l’85% dalla varietà di vitis vinifera citata. Si possono anche avere le grappe recanti la denominazione di due vitigni, purché dichiarati in ordine decrescente alla loro partecipazione al conferimento della materia prima e che il minore non abbia dato un apporto inferiore al 15%.




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